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Dazi USA, burocrazia UE e Italian Sounding: le sfide del Made in Italy

2025-08-08 08:11

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Made In Italy, made-in-italy, ue, usa, dazi, andrea-striano, italian-sounding,

Dazi USA, burocrazia UE e Italian Sounding: le sfide del Made in Italy

di Andrea Striano

di Andrea Striano
Dipartimento Nazionale Imprese e Mondi Produttivi, Fratelli d’Italia – Responsabile per la Provincia di Caserta


Nel cuore dell’estate 2025, il sistema produttivo italiano si trova immerso in un contesto di sfide globali che si intrecciano con questioni strutturali irrisolte. I nuovi dazi imposti dagli Stati Uniti, la burocrazia europea, i programmi di rottamazione e il potenziale ancora inespresso delle Zone Economiche Speciali si sommano a un nemico silenzioso ma persistente: la contraffazione del Made in Italy. È un mosaico complesso in cui le imprese, in particolare le piccole e medie, si muovono tra ostacoli e occasioni di rilancio.


L’introduzione, dal 1° agosto 2025, di dazi del 15% su numerosi prodotti europei – tra cui eccellenze italiane come vini, formaggi, moda e macchinari – ha reso improvvisamente meno accessibile un mercato che, nel 2024, valeva per l’Italia circa 66 miliardi di euro di esportazioni, pari al 10% del totale. Secondo il Centro Studi di Confindustria, l’impatto potrebbe tradursi in perdite fino a 22,6 miliardi di euro, colpendo soprattutto comparti come l’agroalimentare, che da solo esporta verso gli USA beni per 7 miliardi, e l’automotive. Le piccole imprese, prive delle risorse necessarie per assorbire l’aumento dei costi, rischiano di perdere quote di mercato e di subire in modo amplificato l’effetto della concentrazione geografica dell’export. Ma i dazi, per quanto penalizzanti, possono anche agire come catalizzatore di nuove strategie, spingendo a diversificare i mercati di sbocco verso aree a forte crescita come Cina, India, Sud America e Africa, dove la domanda di prodotti italiani è in costante aumento.


A complicare ulteriormente il quadro si aggiunge il peso della burocrazia, nazionale ed europea. Secondo il Fondo Monetario Internazionale, i costi amministrativi incidono fino al 44% sui prezzi dei beni manifatturieri e addirittura al 110% su quelli dei servizi. Le normative del Green Deal, con gli obblighi di rendicontazione ambientale e di verifica della sostenibilità delle filiere, hanno imposto nuovi adempimenti che per molte PMI sono difficili da sostenere. Non a caso, nel 2024 solo il 60% delle imprese previste è riuscito ad accedere ai fondi del PNRR, spesso a causa di procedure farraginose. Tuttavia, la spinta verso una sburocratizzazione reale sta guadagnando terreno: la Commissione Europea ha annunciato l’intenzione di esentare fino all’80% delle PMI da alcuni obblighi più gravosi e la digitalizzazione amministrativa, sostenuta dal PNRR, potrebbe ridurre i tempi di gestione delle pratiche di circa un terzo, liberando risorse preziose per innovazione e competitività.


In questo contesto, i programmi di rottamazione e ammodernamento del parco macchine rappresentano un’opportunità strategica. Il Piano Transizione 5.0 ha messo a disposizione 6,3 miliardi di euro per la trasformazione digitale e green delle imprese, ma la complessità delle procedure e la mancanza di competenze interne ostacolano la partecipazione delle PMI. L’età media delle macchine industriali italiane è di 15 anni, tra le più alte in Europa: modernizzarle significherebbe ridurre i consumi energetici fino al 25% e aumentare la produttività del 10%, secondo UCIMU. L’integrazione di tecnologie 4.0 come automazione e intelligenza artificiale può diventare un’arma decisiva per mantenere competitività anche in scenari di mercato più ostili.


Sul fronte territoriale, le Zone Economiche Speciali nate per stimolare investimenti nel Sud Italia restano una risorsa sottoutilizzata. Nel 2024 hanno attratto 2,5 miliardi di euro, ma i tempi di approvazione dei progetti – spesso superiori ai dodici mesi – e le carenze infrastrutturali ne limitano l’appeal. Eppure, il potenziale è enorme: con un adeguato potenziamento logistico, l’Interporto di Marcianise – Maddaloni e il porto di Gioia Tauro potrebbero rafforzare il ruolo del Mezzogiorno come snodo strategico per l’export verso il Mediterraneo e l’Africa, intercettando flussi commerciali in crescita. Gli incentivi fiscali, come il credito d’imposta fino al 40% per gli investimenti, possono attirare imprese a elevato valore aggiunto, ma richiedono una governance più efficiente e tempi decisionali certi.


Infine, c’è la questione della contraffazione, o meglio dell’Italian Sounding, che ogni anno costa all’economia italiana oltre 60 miliardi di euro. Prodotti come il “Parmesan” o le imitazioni di marchi di lusso italiani invadono mercati chiave come Stati Uniti e Cina, erodendo fatturati e minando la reputazione del Made in Italy. Per contrastare il fenomeno, il Governo Meloni ha introdotto nuovi reati specifici relativi alla contraffazione del Made in Italy, con l’obiettivo di rafforzare la tutela legale e la deterrenza. La risposta passa anche da accordi internazionali più efficaci e dall’adozione di tecnologie di tracciabilità come la blockchain, che certificano l’autenticità dei prodotti e rafforzano il legame di fiducia con il consumatore.


L’Italia si trova così davanti a un bivio: subire le pressioni esterne e interne o trasformarle in leva per un nuovo ciclo di crescita. Diversificazione dei mercati, modernizzazione produttiva, sfruttamento pieno delle ZES e difesa intelligente del Made in Italy possono diventare pilastri di una strategia nazionale per la competitività. Per riuscirci, sarà necessario un patto concreto tra istituzioni e sistema imprenditoriale, capace di alleggerire gli oneri, velocizzare i processi e accompagnare le imprese – soprattutto le più piccole – in un contesto globale che richiede velocità, visione e capacità di adattamento. In questo scenario, le sfide attuali non devono essere viste come un freno, ma come l’occasione per ridisegnare il modello italiano di impresa, renderlo più resiliente e proiettarlo verso nuovi mercati e opportunità.