IL PROBLEMA DEL DISALLINEAMENTO E COME AFFRONTARLO

di Romano Benini




Negli ultimi mesi, come è noto, il mercato del lavoro italiano ha avuto una significativa ripresa e ci troviamo nei primi mesi del 2024 ad aver raggiunto il più alto numero di occupati della nostra storia, considerando il tasso di occupazione ed il rapporto tra occupati e popolazione attiva. Tuttavia, questa crescita reale rappresenta poco più della metà di quella che potrebbe essere la crescita potenziale dell’occupazione nel nostro paese: da alcuni mesi la crescita della domanda e dei fabbisogni professionali delle imprese si accompagna ad una difficoltà media di reperimento delle competenze che è arrivata quasi al cinquanta per cento. Per ogni due lavoratori che sono cercati dalle nostre imprese se ne trova uno. Se poi consideriamo le analisi del Ministero del Lavoro ed il rapporto che viene curato per il Ministero dalle Camere di Commercio (il sistema Excelsior) a questo dato se ne aggiunge un altro, forse ancora più preoccupante: nel settanta per cento dei casi la difficile reperibilità è data dalla mancanza di candidati ai colloqui. Pur in una nazione che vede un grave squilibrio territoriale tra le regioni la difficoltà derivante dal disallineamento tra domanda ed offerta unisce il paese da Bolzano a Siracusa ed è anzi a volte ancora più grave nei sistemi locali in cui ad una scarsa dinamica occupazionale si accompagna anche una inadeguatezza del sistema formativo. Quali sono le competenze che dobbiamo allineare al mercato? Sono soprattutto quelle di chi è disposto a lavorare, ma si trova nella necessità di adeguare le proprie capacità alle competenze e capacità effettivamente richieste dal mercato del lavoro. Ci riferiamo soprattutto a tre fasce sociali purtroppo molto presenti nel nostro Paese, che insieme superano i 4 milioni di unità e su cui si deve intervenire con misure specifiche: i giovani neet, ossia i giovani che non studiano, non lavorano e non sono in tirocinio; il 40% dei disoccupati che è in media oggi privo di una competenza adatta ai cambiamenti del mercato del lavoro ed i troppi giovani che non hanno una qualifica professionale per non aver completato l’obbligo formativo. Aggiornare e qualificare le competenze di chi ne è privo è il primo passo per contrastare il disallineamento. La strada da percorrere per invertire questa rotta chiama in causa proprio i soggetti che intervengono a diverso titolo e funzione sul mercato del lavoro, tra cui i soggetti della bilateralità. Il Terzo settore, che ha anche il compito di intervenire per contrastare il disagio sociale, la povertà educativa e per aiutare i servizi sociali ed educativi ad affrontare la dispersione scolastica. Nella riforma dell’Assegno di inclusione, ma anche nella nuova programmazione del Fondo sociale europeo è stato previsto un forte coinvolgimento degli enti del terzo settore nella condivisione di questi obiettivi comuni. Il sistema formativo, anche quello legato alla bilateralità, che attraverso la formazione professionale e le relative qualifiche è chiamato a svolgere una funzione importante, anche per rispondere a quella “intelligenza delle mani” che ha un importante spazio nel nostro mercato del lavoro e che dobbiamo tornare a considerare centrale nel nostro sistema. L’Università, che ha il compito di stimolare la crescita di quella formazione terziaria e di preparare alcune competenze chiave la cui domanda non trova una adeguata risposta dal numero di laureati, dalle competenze Stem informatiche e digitali al personale sanitario, dagli ingegneri elettronici alle altre competenze legate alla sostenibilità. Lo sforzo che dobbiamo fare è sistematico e non mancano in questa fase le risorse che dal Pnrr ai fondi della programmazione comunitaria possono aiutare le istituzioni e sostenere lo sforzo dei servizi sociali, per la formazione e per il lavoro. Tuttavia, per cogliere la grande opportunità della crescita della domanda di lavoro appare necessario oggi realizzare una alleanza sistematica tra tutti i mondi che rappresentano il lavoro: emerge la necessità di un nuovo patto tra aziende, università, Stato e Terzo settore. Inoltre la capacità di superare il disallineamento tra domanda ed offerta di lavoro in questa fase di transizione si collega anche alla qualificazione della domanda di lavoro, al miglioramento delle condizioni del lavoro, all’aumento dell’innovazione e della produttività, ma anche alla diffusione di strumenti e piani di welfare aziendale e di conciliazione tra vita e lavoro. La legislazione va affiancata da una nuova contrattazione nazionale, territoriale ed aziendale in grado di porre al centro la qualità del lavoro e delle relazioni sindacali. Si può risolvere il problema della reperibilità delle competenze solo insieme alla soluzione di un altro tema che è del tutto collegato: creare nelle nostre aziende un ambiente inclusivo e sempre più adatto alla valorizzazione del lavoro delle donne e sostenere l’imprenditoria femminile. La capacità di dare valore all’apporto delle donne all’economia ed al lavoro non è solo il segno di una economia più giusta, ma anche più efficiente così come è fondamentale la capacità di tutte le imprese, anche le più piccole, di fare dell’investimento nel capitale umano il principale strumento per crescere e svilupparsi.