NUTRIRE SE STESSI E LA PROPRIA FAMIGLIA NON È COME ANDARE AD ACQUISTARE UNA FORCINA AL SUPERMERCATO

di Claudio F. Fava



LE PROTESTE DEGLI AGRICOLTORI NASCONO NEGLI ANNI '60

Le proteste degli agricoltori in Italia hanno delle origini che vale la pena di analizzare, per il rispetto che si deve a tutta la categoria. Sono diffuse in tutta Italia e stanno riempiendo le news su carta e video. Ma le origini di queste proteste che non si possono fermare, devono avere una risposta non per ragioni economiche o di carattere sindacale, ma di sopravvivenza del Sistema Paese. Tutti ci riempiamo la bocca che una delle armi vincenti per il nostro Paese è il perfezionamenti delle tecniche del Made in Italy in tutti i settori: dall'arte alla cultura, dalla tradizione alla tecnologia, dall'acqua all'Ambiente, ed intanto stiamo ammazzando per superficialità, nella migliore delle ipotesi, l'essenza della tradizione agroalimentare italiana, facendola gestire da giganteschi centri di acquisto internazionali. I grandi brand tra i quali spiccano anche gruppi nazionali fanno del prezzo e della loro posizione di forza, il centro del loro obiettivo: distruggere la qualità, perché la qualità è democrazia e quindi non ci serve. Ma analizziamo brevemente come siamo arrivati a questo punto di autolesionismo.

BACKGROUND

Negli anni immediatamente successivi al secondo conflitto mondiale, quindi dagli anni 1950/60, il mondo del lavoro e soprattutto quello del comparto agricolo italiano hanno vissuto inconsapevolmente uno stravolgimento di politica industriale che ha determinato la base per l'attuale crisi delle imprese italiane. Molti ricorderanno che il boom economico degli anni 60 è partito con la concentrazione delle grandi industrie del nord che, uniche all'altezza di competere con il mercato estero, si ingrandivano ed assumevano a piene mani operai anche non specializzati, che avevano vissuto la carestia del decennio precedente. Ciò ha provocato l'espandersi delle grandi città, in primis Milano e Torino, seguite a breve dalle province dell'area nordest e nordovest, dati Nielsen. L'aumento esponenziale della densità delle città ha creato altro lavoro generato dai nuovi cittadini che hanno avuto bisogno di avere tutti i servizi in zona necessari per vivere, quindi di sistemarsi ed avere un futuro per se e per le loro famiglie. In queste nuove città la skyline è stata per decenni la fila di gru alzate per nuove costruzioni, e tra questi servizi, il negozio di alimentari e la latteria hanno fatto la parte del gigante. Quindi per consentire di trovare lavoro per se o per i propri figli, tutti i proprietari di un appezzamento di terra, anche piccolo lo hanno venduto per comprare la licenza e consentire di aprire, appunto, un negozio di alimentari o una latteria da dare al proprio figlio che così diventava, seppur non specializzato un emigrante privilegiato. E questo proliferare di dettaglianti in tutta la catena dell'alimentazione ha, a sua volta, fatto proliferare l'indotto. Di caseifici, piccoli allevamenti, coltivatori di prodotti agricoli come frutta e verdura, e così via. Un così via che ha determinato oltre 1 mln di aperture di piccole licenze nel settore agricolo, allargato ai bar e i ristoranti. Un esercito di occupati a livello familiare che ha servito ed ha partecipato alla crescita del Paese verificatosi nel ventennio successivo.

L'effetto sugli allevamenti e le cantine vinicole nell'hinterland delle grandi città è stato benefico. Così come quello dei caseifici e specialità di campagne oggi dette DOP. Anche se non sempre esemplare.

LA GLOBALIZZAZIONE PER LE PMI

Poi è venuta dalla Francia, prevalentemente, la scoperta dei supermercati, che subdolamente e con la scusa dei prezzi migliori dovuti prevalentemente alla posizione dominante del volume degli acquisti, hanno determinato l'inizio della crisi del dettaglio, quindi dell'occupazione delle piccole aziende che garantivano, attraverso l'indotto, una sana competitività tra i piccoli produttori nell'agroalimentare. Ed è cominciato in quel periodo anche la fuga dalle campagne, in assenza di una tutela dei mestieri antichi e ricchi di tipicità che facevano prosperare le PMI. Ed i consumatori delle città, lentamente ed inesorabilmente sono andati ad acquistare i prodotti agricoli negli stessi posti dove si aprivano grandi gondole di prodotti per la casa, l'abbigliamento di bassa qualità, le pentole ed i fermagli per capelli. Togliendo la concentrazione sulla scelta della qualità delle primizie, delle ricercatezze, delle tradizioni e della capacità di dedicare il tempo giusto alla "critica di ciò che si acquista per nutrire se stessi e la propria famiglia"..ed aggiungiamo la mancanza di benefici sul risparmio della spesa sanitaria a carico dello Stato, per chi non si nutre bene ma con junk-delivered-food. Stendiamo un velo sul cibo consegnato a domicilio, con personale che non ha seguito alcun training. A causa della contemporanea crescita dei costi della costruzione dei supermercati, e dei parcheggi necessari, c'è stata un'altra fantastica invenzione... è nato il CENTRO COMMERCIALE o MALL. Quindi un solo grande parcheggio, una sola trattativa con le amministrazioni locali che hanno elargito licenze, spesso, a propria insaputa! E con il centro commerciale da centinaia di negozi, sono stati definitivamente cancellate le tradizioni anche degli altri piccoli artigiani e commercianti locali dell'indotto. Quasi che il centro commerciale dovesse diventare, come negli USA, una filosofia di vita. O di consumismo?

GIU' LA MASCHERA

Oggi finalmente dopo il primo ventennio la globalizzazione ha tolto la maschera. Siamo tornati, ma questa volta governati dai Big della GDO, ai negozi di prossimità! È pazzesco. Abbiamo ammazzato i piccoli e indipendenti negozi sotto casa per i quali il consumatore era importante e che mantenevano gli agricoltori che rappresentavano il meglio del Made in Italy per rimetterli e far vendere i prodotti spacciati per artigianali! Controllati dai prezzi e politiche del personale dei BIG leaders. Cancellando la storia del nostro Paese a scapito della tradizione, la dedizione ed i sacrifici necessari per ottenere risultati dall'agricoltura, che si ampliano ancora oggi con la transizione ecologica, con l'agrivoltaico, le CER, la coltura biologica che si allarga alla pesca, per-ché non dobbiamo mai dimenticarla, ma pesca significa acqua, quindi inquinamento, quindi salute, quindi futuro. Ma la pianificazione non si doveva fare nei Ministeri? Ma se l'energia rinnovabile entro il 2030 deve essere il 62% del totale in Italia, perché non si può realizzare con la valorizzazione delle imprese agricole? Oggi leggiamo "I trattori cingono d’assedio Parigi, trattori a Pescara, agricoltori bloccano Orte..." e tante ancora ne leggeremo. AMMAZZA LA QUALITÀ è il fine dei BIG PLAYERS ovvero quei 35/40 gruppi mondiali che detengono il 35% del PIL mondiale e credono di poter continuare a decidere lo standard di vita della maggioranza dei Paesi. Rendiamogli la vita dura almeno noi italiani facendo RETE tra piccole e medie aziende di prodotti di qualità, senza cabine di regia ma informando gli agricoltori degli strumenti idonei allo sviluppo. Senza dimenticare che l'agricoltura è l'unico fattore della produzione che negli ultimi 10 anni ha avuto 10 PLUS, non MINUS.