Si fa presto a dire internazionalizzazione

di Domitilla Gacci



Quando si parla di internazionalizzazione ci si riferisce al processo mediante il quale un’azienda estende la propria presenza oltre i confini nazionali. L’idea di internazionalizzazione, che pure ha registrato una sostanziale accelerazione a seguito della crisi pandemica, non è certo nuova alle imprese italiane, le cui esportazioni pesano per oltre un terzo del PIL nazionale. Ma perché le imprese internazionalizzano? E come possono farlo in modo efficace? Le motivazioni che spingono un’impresa ad avviare un processo di internazionalizzazione sono molteplici. Se da un lato primeggia la ricerca di nuovi clienti attraverso il presidio di mercati e geografie diverse, non vanno pure sottovalutati il tentativo di ridurre i rischi derivanti dalla dipendenza da un singolo mercato; l’accesso a risorse e competenze globali che possono incidere positivamente sui costi di produzione; nonché l’acquisizione di un vantaggio competitivo generato dal rafforzamento del brand a livello globale. A seconda del peso che ciascuna di queste motivazioni riveste nella strategia di sviluppo dell’impresa, essa opterà per un percorso di internazionalizzazione piuttosto che un altro. Tuttavia, che si tratti della vendita di beni e/o servizi in nuovi mercati, dell’apertura di filiali o della creazione di partnership in ciascuna impresa si troverà ad affrontare una serie di sfide derivanti, oltre che dalla concorrenza globale, dall’esistenza di differenze culturali e linguistiche, dalle barriere legate a normative e leggi locali, nonché dai rischi finanziari che l’espansione inevitabilmente porta con sé. Come fare dunque a fronteggiare con successo tali sfide? Anzitutto arrivando preparati. Avviare un processo di internazionalizzazione non è affatto banale. Un percorso efficace richiede un’analisi approfondita del mercato (o mercati) verso cui si intende rivolgersi e non può prescindere da una valutazione a tutto tondo dell’azienda, della sua capacità produttiva, della sua cultura aziendale e dell’attitudine a rispondere alle richieste del mercato in termini di adeguamento di prodotto o di processo. A fare davvero la differenza sono poi la formazione e la capacità di sviluppare relazioni solide con partner, fornitori, clienti ed istituzioni locali.

Questo è quanto mai vero per i mercati arabi, area di riferimento della Joint Italian Arab Chamber of Commerce (JIACC). La nostra mission, racchiusa nel claim “building bridges” è appunto quella di assistere le imprese nell’individuazione dei mercati più promettenti, e di accompagnarle nel delineare la strategia di internazionalizzazione più efficace alla luce delle specificità di ciascuno di essi, aiutandole a colmare quel gap, anche relazionale, che può rappresentare un ostacolo alla loro crescita globale. Guardare al mondo arabo significa interfacciarsi con un mercato dalle enormi potenzialità, in espansione sia dal punto di vista economico che demografico. Un mercato la cui crescita è trainata in larga misura dalle strategie di diversificazione adottate dai governi (si pensi alla Saudi Vision 2030) che spesso offrono incentivi ed agevolazioni agli investitori stranieri. Ma si tratta di un mercato eterogeneo, con forti specificità da conoscere adeguatamente per garantire un approccio di successo.