di Andrea Striano Il recente panel “Il ruolo dell’Italia: sfide e opportunità per il settore automotive”, organizzato da ENI nell’ambito del Tour d’Europe, è stato un momento di confronto concreto e lucido su uno dei nodi centrali della trasformazione in atto: quale ruolo possono (e devono) giocare i carburanti rinnovabili nella strategia di decarbonizzazione del trasporto su strada? Un messaggio forte da Bruxelles: neutralità tecnologica o fallimento industriale A portare sul tavolo una posizione chiara e strutturata è stata Elena Donazzan, europarlamentare di Fratelli d’Italia e vicepresidente della Commissione Industria, Ricerca ed Energia del Parlamento europeo. Donazzan ha denunciato, senza giri di parole, il rischio di un approccio ideologico che — imponendo l’elettrico come unica via — potrebbe cancellare intere filiere produttive e penalizzare pesantemente la manifattura europea, italiana in primis. Il punto centrale del suo intervento: la transizione ecologica deve essere tecnologicamente neutrale, ovvero aperta all’impiego combinato di tutte le soluzioni disponibili — carburanti sintetici, biocarburanti avanzati, elettrico, idrogeno — sulla base di evidenze scientifiche, costi reali e impatto sull’occupazione. Questa visione, espressa in un contesto internazionale e tecnico, offre una chiave di lettura concreta per le imprese italiane: non si tratta di opporsi al cambiamento, ma di evitare che venga imposto secondo logiche astratte e penalizzanti per il nostro sistema produttivo. Carburanti rinnovabili: pronti oggi, con infrastrutture già esistenti Un elemento troppo spesso trascurato nel dibattito pubblico è che i carburanti rinnovabili sono già oggi disponibili, utilizzabili in motori endotermici esistenti, e perfettamente compatibili con le infrastrutture attuali. Questo rappresenta un vantaggio competitivo immediato: nessun bisogno di attendere nuove tecnologie, nessun azzeramento delle catene del valore. Inoltre, sul piano delle emissioni, i carburanti rinnovabili — se prodotti secondo standard avanzati — consentono una riduzione significativa della CO₂ senza dover stravolgere il mercato o imporre costi insostenibili a imprese e famiglie. È una via percorribile, scalabile, già collaudata. Allora perché ignorarla? Il modello Italia: mix energetico, cooperazione mediterranea e resilienza Donazzan ha evidenziato un altro punto di forza tutto italiano: un modello di sovranità energetica basato su un mix diversificato di fonti e su solide relazioni geopolitiche, soprattutto con il Nord Africa e il Medio Oriente. In un’Europa che si interroga sulla sicurezza degli approvvigionamenti, l’Italia può offrire una proposta di equilibrio tra sostenibilità ambientale, indipendenza strategica e competitività industriale. Tale impostazione, già abbozzata nella Strategia energetica nazionale e oggi rilanciata con più forza, rappresenta una visione sistemica e non settoriale della transizione, dove l’energia è intesa come leva geopolitica e non solo come fattore ambientale. Un patto per l’industria europea: serve una moratoria sulle sanzioni CO₂ L’attuale sistema regolatorio europeo ha mostrato tutti i suoi limiti. Non solo ha penalizzato i produttori, ma ha creato asimmetrie con competitor extraeuropei, favorendo le importazioni a basso costo e impatto ambientale non tracciato. Da qui la proposta — contenuta nel Non-Paper italiano e sostenuta da diversi Stati membri — di una moratoria sulle sanzioni CO₂ e di una revisione anticipata delle normative sulle emissioni. Non si tratta di frenare la transizione, ma di darle una traiettoria compatibile con la realtà industriale europea, evitando effetti perversi su investimenti, occupazione e innovazione. Come membro del Dipartimento Nazionale Imprese e Mondi Produttivi di Fratelli d’Italia, posso testimoniare che le imprese non chiedono scorciatoie, ma coerenza e visione. Gli imprenditori italiani sono pronti a investire, innovare, sperimentare. Ma servono politiche industriali che riconoscano la centralità del mercato e non subordinino l’innovazione a obiettivi ideologici. Occorre promuovere una collaborazione stabile tra pubblico e privato, in grado di mobilitare risorse, ridurre la burocrazia e garantire che le nuove tecnologie siano accessibili e competitive, non solo sostenibili. La lezione che possiamo trarre da questo dibattito è chiara: la sostenibilità non è solo ambientale, ma anche economica e sociale. Una transizione efficace non può essere elitaria, imposta dall’alto o chiusa in uno schema unico. Deve coinvolgere imprese, lavoratori, territori, consumatori. Deve riconoscere che ci sono più strade per arrivare a un obiettivo comune. L’Italia sta indicando questa direzione. E lo sta facendo con pragmatismo, competenza e senso di responsabilità. La sfida ora è far sentire questa voce in Europa, con forza e continuità.  
La crisi dell’industria automobilistica europea è reale, strutturale, e sotto gli occhi di tutti. In un contesto di crescente pressione normativa, volatilità geopolitica e incertezza tecnologica, l’Europa rischia di trasformare la transizione energetica da grande opportunità industriale a potenziale trappola competitiva. E l’Italia, forte di un tessuto produttivo flessibile e avanzato, si propone oggi come uno dei pochi Paesi capaci di indicare una rotta alternativa: non negare il cambiamento, ma guidarlo con pragmatismo.
  


